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Chimica a due facce.
Luigi Campanella, già Presidente SCI
A caccia di casi di specie che dimostrino quanto sia vero parlare di 2 volti della Chimica ho trovato quest’altro dato.
Il TiO2 è universalmente accettato come un foto-catalizzatore efficace: in presenza di opportuna radiazione UV produce vacanze elettroniche nella sua banda di valenza ed eccessi elettronici nella sua banda di conduzione (band-gap di 3.25 eV). Questi, le une e gli altri, reagiscono con O2 e H2O producendo ROS, ossia specie radicaliche dell’ossigeno, idrossido, perossido e superossido in grado di attaccare le molecole di molti composti con la conseguente loro degradazione, quindi con una possibile applicazione sul piano ambientale ed igienico sanitario.
Purtroppo man mano che la degradazione procede la sua efficienza diminuisce. Si è così trovato che l’aggiunta di fluoro, il tanto temuto elemento dei PFAS, sia assorbito in superficie del TiO2, sia aggiunto come drogante nella sua struttura, consente di superare questo inconveniente garantendo una prolungata efficienza al processo di fotodegradazione.
La faccia buona del diossido di titanio ha però anche un altro connotato. Fa riferimento al suo impiego come colorante classificato E171 utilizzato in molteplici applicazioni a partire da componente di pitture e quadri, anche se solo moderni vista la giovane età di questo colorante; ad essi conferisce luminosità e opacità, la stessa attività che svolge verso i rivestimenti in resina. Anche le applicazioni cosmetiche rispondono al criterio delle due facce: da un lato utilizzato come filtro solare per proteggerci dai pericolosi raggi UV responsabili del melanoma, aggressivo tumore della pelle, dall’altro agente di reazioni cutanee come dermatiti, eczemi, allergie, o addirittura di invecchiamento e infiammazioni croniche della pelle, per non parlare della sua cancerogenicità dermica, tanto che l’uso in questo campo è stato vietato dal 2024. Ancora una chimica singolarmente a due facce: per prevenire il melanoma dovuto ai raggi UV si usa per protezione un composto potenzialmente cancerogeno!!
Oggi però a rinforzare la seconda faccia, quella cattiva del TIO2, arrivano i risultati di una ricerca pubblicata da istituzioni di ricerca francesi (CNRS, INRAE, AP-HP) che evidenzia come questo composto sia ritrovato nel quasi 90%di un set di campioni di latte materno, animale o industriale.

Tenuto conto che si tratta di un composto vietato per uso alimentare sin dal 2022 questa scoperta non può che essere collegata ad una ubiquitarietà del composto in questione che contamina suoli ed acque. Questo dato non può non preoccupare tenuto conto della cancerogenicità del TiO2 e del fatto che i consumatori del latte materno sono neonati, quindi soggetti appena venuti alla vita, quindi non ancora sviluppati per resistere alle insidie dirette alla propria salute.
La ricerca è stata eseguita impiegando come tecniche analitiche Fluorescenza X e Spettrometria di Massa al fine di individuare micro e nano particelle del TiO2 nei campioni di latte. Con queste tecniche i ricercatori hanno ricercato nel latte materno composti dai nomi non noti al consumatore medio, ma ben noti in ambito scientifico in quanto derivati del TiO2, tra i quali rutilo ed anatasio, entrambi ossidi, ilmenite (FeTiO3), titanite (CaTiSiO5), pseudo-brookite (Fe2Ti05).
Quasi tutti (90%) i campioni di latte materno analizzati, liquidi o in polvere, biologici o meno, pastorizzati o no, sono risultati positivi al test contenendo da 6 milioni a 4 miliardi di nanoparticelle di TiO2, a seconda del tipo di campione. Il commento degli autori è particolarmente preoccupante: fra concentrazione nell’ambiente e presenza nel latte materno del TiO2 c’è un gap che impedisce la correlazione fra i 2 dati: ma allora la fonte deve essere un’altra e deve essere trovata al più presto tenuto conto della tossicità del composto, anche per gli adulti, e che il suo impiego in vernici, materiali di vario tipo, rivestimenti è in continua crescita.
Il consumo mondiale di biossido di titanio (TiO₂) nel 2024 è stato valutato in oltre 21,49 miliardi di dollari e si stima che supererà i 48 miliardi entro il 2037, con una crescita media annua (CAGR) superiore al 6,4%. La crescita è trainata dall’aumento della domanda di vernici e rivestimenti, settori chiave per l’utilizzo del TiO₂, soprattutto in Asia-Pacifico a causa della rapida industrializzazione e dell’edilizia.
C’è stata vita su Marte?
Diego Tesauro
Da Epicuro a Giordano Bruno, da Kant a Hegel, sono molti i filosofi che si sono interrogati, talvolta in modo scettico, altre volte meno, sulla possibile esistenza di forme di vita extraterrestre.
Nel XIX secolo a seguito della scoperta dei canali da parte di Schiapparelli, con le maggiori somiglianze con la Terra rispetto agli altri pianeti del Sistema Solare, Marte è stata ipotizzata come la sede della vita alternativa alla Terra più vicina a noi. Anche la fantascienza e l’arte vedeva in Marte il pianeta in cui vivevano gli “omini verdi”. Nel romanzo “Sotto le lune di Marte” lo scrittore Edgar Rice Burroughs descrisse varie specie di Marziani, tra cui una razza con la pelle verde e nella famosa Guerra dei Mondi nel 1938, Orson Wells faceva una radiocronaca dello sbarco dei marziani in una cittadina del New Jersey. In realtà già dall’inizio del XX secolo si era compreso che su Marte, date le condizioni attuali dell’atmosfera, estremamente rarefatta (al suolo la pressione è di 4 mbar) e composta dal diossido di carbonio, al massimo potevano essere presenti forme di vita unicellulare nel suolo.
Su queste basi, durante la missione Viking nel 1976, toccando il suolo di Marte, furono effettuati esperimenti basati sulla somministrazione di amminoacidi, acido glicolico, lattato e carboidrati in entrambe le forme levogira e destrogira per verificare se si producessero ossidi di carbonio, generati dal metabolismo di possibili microbi presenti nel suolo marziano. I risultati, discutibili all’epoca, non diedero una risposta univoca, ma successivamente si è esclusa la presenza di attività microbica.
Ciò che però non ci si aspettava era che uno strumento principale a bordo dei lander, il gascromatografo-spettrometro di massa, non rilevò alcuna materia organica. Questa fu una sorpresa per gli scienziati, che sapevano che il materiale organico veniva depositato sulla superficie marziana da comete e meteoriti. L’apparente assenza di molecole organiche nel materiale superficiale marziano è diventata un mistero scientifico per decenni. Nel 2008, la sonda spaziale Phoenix esplorò il polo nord di Marte. Phoenix scoprì la presenza del perclorato sul suolo marziano, raro sulla Terra. Dopo ulteriori conclusioni sulla presenza di questo sale su Marte e esperimenti complementari sulla Terra, gli scienziati ipotizzarono che questo sale potesse aver clorurato eventuali sostanze organiche all’interno degli strumenti Viking. Effettivamente negli esperimenti del Viking è stato possibile individuare un prodotto di reazione tra il sale e le sostanze organiche presenti nel forno Viking, il clorobenzene, una molecola organica clorurata [1]. La presenza del perclorato aveva qualche anno fa spinto un gruppo di ricerca tedesco a dimostrare la possibilità di forme di vita estremofile quali gli Archea capaci di sopravvivere in queste condizioni di cui ci siamo occupati in un altro post .
Accertata la presenza di sostanze organiche, da allora tutte le missioni spaziali hanno avuto come obiettivo oltre a quello di dimostrare l’esistenza di sostanze organiche, se in passato ci fosse stata della vita microbica, rilevando un’origine biotica delle molecole. In questo scenario si inserisce la missione NASA Mars 2020. Il rover Perseverance sta esplorando il cratere marziano Jezero, in quanto è uno dei luoghi più promettenti per l’identificazione di vita extra-terrestre nel passato del pianeta rosso. Il cratere corrisponde ad un’antica area che un tempo ospitava un lago e che in passato potrebbe aver avuto un alto potenziale di abitabilità. Rilevare materia organica è fondamentale per valutare la possibile abitabilità passata ed identificare potenziali biosignature, poiché composti organici semplici possono essere nutrienti per la vita e composti organici complessi possono fornire evidenze dirette di biogenicità.
I risultati sono stati oggetto di una recente pubblicazione su Nature Astronomy [2].
Per poter effettuare le analisi, a bordo del rover, è stato utilizzato lo strumento Scanning Habitable Environments with Raman and Luminescence for Organics and Chemicals (SHERLOC), uno spettrometro Raman e di fluorescenza nel profondo UV (DUV). I risultati sono stati paragonati a quelli ottenuti in laboratorio (a cui ha collaborato un laboratorio dell’Università Federico II) effettuando le stesse analisi con precursori sintetizzati ad hoc. In particolare un confronto tra il set di dati di laboratorio e le osservazioni SHERLOC nella zona QRT (parte della formazione rocciosa Séítahe dove è “ammartato” Perseverance ) e sul campione Pilot Montain (PMT) ha mostrato che diversi tipi di composti organici aromatici sono presenti nei solfati come il naftalene, l’1- e 2-naftolo (HN), 1,3- e 2,6-diidrossinaftalene (DHN), il 9-metilantracene (9-MA), l’uracile e un polimero di idrocarburo aromatico ossi-policiclico (IPA) sintetizzato da 1-HN (poli1-HN) – presentano intense bande di strechting dell’anello C–C e C=C (e bande di allungamento C=O nel caso di composti come l’uracile con gruppi funzionali carbonilici sull’anello aromatico) in diverse posizioni all’interno delle regioni spettrali di interesse. Ci si pone quindi il problema dell’origine di queste molecole e si prefigurano 4 scenari (Figura 1). Lo scenario 1a descrive un processo igneo in situ per la formazione di IPA a partire da gas magmatici intrappolati nei pori delle rocce ignee del cratere Jezero, ed in seguito conservati nei solfati precipitati a seguito dell’alterazione acquosa, che potrebbe essere coerente con l’origine della zona da cui proviene il campione QRT. Lo scenario 1b descrive un processo igneo ex situ per la formazione di IPA verificatosi all’esterno del cratere Jezero, e solo successivamente trasportati verso il cratere Jezero, dove gli IPA potrebbero essere stati coprecipitati con i sali solfati o intrappolati e conservati all’interno dei cristalli. Questo scenario potrebbe essere coerente con le osservazioni sia del campione QRT che del PMT, e con l’accumulo selettivo di IPA in queste rocce al posto del carbonio macromolecolare (MMC) a causa della sua minore mobilità nelle fasi fluide. Lo scenario 2 descrive un potenziale meccanismo idrotermale per la formazione di IPA e il successivo trasporto da parte di acque sotterranee idrotermali che potrebbe essere correlato all’idrotermalismo regionale associato al vulcanismo della Syrtis Major. Lo scenario 3 descrive un potenziale processo di rilascio esogeno di IPA o di produzione durante processi di impatto d’urto. Lo scenario 4 descrive una potenziale origine biotica degli IPA come prodotti di degradazione chimica di antichi composti biotici.

Figura 1 Schema dei 4 scenari proposti dai geochimici del lavoro di Nature Astronomy. Le frecce verdi indicano i meccanismi di formazione in situ, mentre le frecce blu indicano i meccanismi di formazione ex situ. Le posizioni dei target QRT e PMT nel cratere Jezero sono mostrate in un’immagine acquisita dalla telecamera stereo ad alta risoluzione a bordo della sonda orbitante Mars Express dell’ESA. Credit: background image, ESA/DLR/FU-Berlin/NASA/JPL-Caltech
I risultati ottenuti sono coerenti con gli studi sui meteoriti marziani e le osservazioni dal cratere Gale e rafforzano l’ipotesi che i solfati potrebbero essere cruciali nella conservazione e nel trasporto di molecole organiche nell’ambiente marziano e, quindi, potrebbero aver svolto un ruolo significativo nel ciclo del carbonio marziano, influenzando la disponibilità e il ciclo dei composti del carbonio necessari alla vita.
Nonostante la rilevanza dei risultati alla domanda che ci siamo posti all’inizio su una possibile presenza di vita nel passato di Marte, non si può associare una risposta definitiva. E’ necessario stigmatizzare i titoli dei quotidiani e dei siti internet, che per catturare l’attenzione del lettore, riportano nel titolo argomentazioni diverse da quelle correttamente riportate negli articoli. Considerati i limiti delle tecniche di spettroscopia Raman e di fluorescenza di Perseverance, intrinsecamente meno diagnostiche dei metodi di spettrometria di massa utilizzati dal rover Curiosity, che forniscono identificazioni chimiche più definitive, le diverse ipotesi richiederebbero ulteriori studi di laboratorio. Questi studi potrebbero ricostruire i processi di alterazione chimica che potrebbero essersi verificati nel cratere Jezero nel tempo e che hanno portato alla formazione delle sostanze organiche osservate. Una risposta più chiara si potrà avere quando i campioni torneranno sulla Terra nell’ambito della Mars Sample Return Campaign per analisi ad alta sensibilità in laboratori terrestri.
Bibliografia
[1]Guzman, M. et al. Journal of Geophysical Research: Planets. 2018, 123, 1674-1683. 10.1029/2018JE005544
[2] Fornaro T. et al. Nature Astronomy https://doi.org/10.1038/s41550-025-02638-z
Esplosioni subacquee.
Claudio Della Volpe
Pochi giorni fa i giornali hanno reso noto l’arresto, avvenuto in Italia, di un cittadino ucraino considerato il coordinatore responsabile delle esplosioni che hanno distrutto o reso inattivi i due gasdotti che portavano gas dalla Russia alla Germania.
Secondo i giudici tedeschi che ne hanno ordinato l’arresto con un mandato internazionale costui, un agente segreto tale Kuznietsov, “posizionò almeno quattro ordigni esplosivi”, ciascuno tra i 14 e i 27 kg, composti da esogene (Rdx) e ottogene (Hmx) con micce a tempo, a nord-est e a sud-est dell’isola di Bomholm, a una profondità di 70-80 metri sul fondale dei gasdotti.
Una valutazione inferiore a quella fatta su Wikipedia alla voce https://it.wikipedia.org/wiki/Sabotaggio_dei_gasdotti_Nord_Stream, dove si parlava di esplosivi simili (il C4 è una formulazione contenente RDX e plasticizzanti) ma in quantità nettamente superiore per giustificare la forza delle esplosioni registrate.
Nel raccontare questa storia, che forse qualcuno aveva dimenticato, e che conferma che dopotutto “la guerra è una continuazione della politica”, come diceva qualcun altro, la Chimica è entrata di prepotenza, perché le esplosioni sono state realizzate usando i due esplosivi dal nome suggestivo di esogèno ed ottogène, definiti come nomi chimici, ma che non sono che nomi comuni di due molecole
Esogène o esanitrodifenilammina o RDX

Ottogène o ciclotetrametilentetranitroammina o HDX

Questo ci da l’occasione di fare due parole sugli esplosivi e sui loro effetti subacquei, che come vedremo sono alquanto spettacolari.
Anzitutto ricordiamo cosa è un esplosivo o un’esplosione: è una reazione di ossidoriduzione che avviene velocemente fra un’ossidante e un riducente in genere o in una molecola che contenga entrambe le funzioni con la produzione di calore e di un’onda d’urto (dovuta alla generazione di gas) che producono insieme gli effetti desiderati. Una combustione rientrerebbe in questo tipo di definizione ed infatti molti esplosivi sono semplicemente dei combustibili che bruciano velocemente nell’ambiente ossidante dell’atmosfera; ma non tutti sono così.
Ci sono poi un paio di altri punti da tener presente per una analisi di base.
- La velocità dell’esplosione: La deflagrazione è un processo di combustione rapidissima ma subsonica (più lenta del suono), mentre la detonazione è un processo ancora più rapido e violento, con una propagazione supersonica (più veloce del suono), accompagnata da un’onda d’urto e pressioni molto più elevate. La differenza fondamentale è la velocità di propagazione dell’onda di pressione generata dalla reazione che ovviamente provoca effetti molto diversi.
- Il bilancio di ossigeno: dato che l’ossigeno è l’ossidante comune in atmosfera un esplosivo può sfruttarlo; si dice che un esplosivo ha un bilancio di ossigeno positivo se nella sua molecola c’è più ossigeno di quel che serve per ridurre tutti i suoi componenti alla forma ossidata finale (acqua, CO2, NOx etc), mentre il bilancio può anche essere negativo o nullo; quest’ultimo caso è il migliore perché la reazione può avvenire in qualunque ambiente e con i rapporti ottimali fra i reagenti.

Sia RDX, HDX (a volte indicato come HMX) che C4 hanno bilancio di ossigeno negativo. Alcuni sono mostrati nell’immagine qua sopra.
Devo dire un’ultima cosa, che mi ha colpito; nel preparare questo post (cosa che come sempre mi comporta un po’ di lavoro di approfondimento) mi sono reso conto che nei testi scientifici invece di scrivere esplicitamente esplosivo si usa spesso una diversa definizione, quasi che questo potesse rendere meno “ostico” l’argomento o più neutro.
Questi materiali vengono definiti “high energy density materials”, (HEDS, un bell’acronimo non si nega a nessuno) materiali ad alta densità energetica e si dice che il loro uso può essere bellico ma anche nell’industria aerospaziale, come propellenti o casomai nell’industria del divertimento (i fuochi di artificio); nulla mi toglie dalla testa che questa pur giusta definizione, tecnicamente giusta, abbia un contenuto “ideologico”, neutralizzante, del tipo; la scienza inventa cose, ma poi gli uomini possono usarle bene o male; anche questo messo così è vero, ma il punto basilare è perché si inventano le cose, cosa spinge a farlo, le domande da cui queste scoperte sono mosse, le risorse che vengono messe a disposizione e da chi.
Personalmente credo che in questo senso preciso la scienza non sia o non sia più neutra. Lo è stata per un certo tempo (forse), ma al momento l’uso della forza è una spinta troppo radicale per trascurarne gli impatti sul nostro lavoro, che ne è fortemente influenzato, perfino NEI CONTENUTI (argomento discutibile, ma ci tornerò in altri post).
Torniamo al nostro argomento.
Una esplosione sott’acqua è diversa da una in aria; per vari motivi: 1) non c’è ossigeno disponibile, dunque un esplosivo a bilancio di ossigeno negativo è sfavorito, non può esplicare la sua potenza appieno, ne serve di più 2) l’acqua è incomprimibile e dunque qualunque onda di pressione è trasportata più efficacemente che in aria, anche se l’inerzia della massa da spostare è parecchio più alta ed infine l’innesco è reso più difficoltoso.
Alcune di queste cose ed i loro effetti sono mostrati nei video spettacolari mostrati nella pagina di ZMEscience indicata in fine del post. Analogamente l’altra pagina web di Youtube mostra alcuni esperimenti di combustione ed esplosione in microgravità, che aiutano a comprendere come le forze agiscano sul sistema in esplosione e come la gravità abbia un ruolo che non capiamo a prima vista, sulla geometria degli effetti.
Questi aspetti tecnici possono aiutarci a districare la matassa politica che c’è dietro l’esplosione?
In piccola parte; nel senso perché usare due esplosivi solo in parte adeguati, con bilancio di ossigeno negativo e dovendone usare di più? Certo sono esplosivi diffusi, comuni in ambito militare e anche sicuri per chi li mette in posizione, in ambienti ostili come sott’acqua.
Quindi la loro scelta potrebbe essere stata indirizzata sia da motivi di praticità che di opportunità e questo vale chiunque ne sia stato l’attore; secondo Seymour Hersch, famoso giornalista americano che ha vinto il premio Pulitzer, gli attentati furono messi in campo dagli USA, ma potrebbero aver usato agenti ucraini; la scelta degli esplosivi senza riscontri tecnici approfonditi condotti in loco non può dare molto aiuto.
Lo sapremo quando tutta la storia si sarà sedimentata e resa non segreta come certamente è ancora adesso nei documenti ufficiali.
In quegli impianti c’erano anche soldi europei e dunque nostri, un po’ di chiarezza in merito non farebbe male.
Consultati:
https://www.chimicifisicicampania.it/image/catalog/Chimica%20esplosiva_Trifuoggi_Salerno%2014122019.pdf una bellissima presentazione del collega Marco Trifuoggi di UniNa, tenuta a Salerno nel 2019, che vi consiglio per la chiarezza e completezza espositiva.
https://www.zmescience.com/feature-post/underwater-explosion-feature/una pagina veramente esplosiva, fatta di brevi video ad altissima velocità che scoprono gli effetti più spettacolari delle esplosioni subacquee, molto interessante.
fra gli esperimenti più spettacolari fatti sulla stazione spaziale o in microgravità e che svelano alcuni aspetti trascurati delle fiamme e delle esplosioni.
https://docente.unife.it/paolo.pini/la-guerra-provocata/un-anno-di-bugie-sul-nord-stream-di-seymour-hersh/view https://en.wikipedia.org/wiki/RDX https://www.sciencedirect.com/science/article/pii/S2667134421000444La chimica del Leone di San Marco
Luigi Campanella, già Presidente SCI
Gli indicatori isotopici sono il rapporto tra diversi isotopi stabili di un elemento chimico, utilizzato per studiare il movimento e l’origine di sostanze in vari contesti, tra cui l’ambiente, gli alimenti e la geologia. Elementi come carbonio, ossigeno, idrogeno, azoto e zolfo hanno isotopi stabili (ad esempio, 12C e 13C) in proporzioni variabili in natura.

https://pubs.acs.org/doi/pdf/10.1021/es504683e?ref=article_openPDF
Le piccole deviazioni in questi rapporti, rispetto a standard internazionali, sono cruciali per differenziare i campioni e tracciare i percorsi. I campioni vengono trasformati in gas (come CO2) e analizzati tramite uno spettrometro di massa per determinare il rapporto tra gli isotopi. I risultati vengono espressi come valore δ in parti per mille (‰).
L’analisi di questi rapporti, permette di tracciare cicli geochimici, identificare frodi alimentari, monitorare l’inquinamento e studiare i cambiamenti climatici passati, come si osserva nella stratigrafia isotopica.
Oggi questa tecnica analitica, che nei libri storici di Analisi Chimica rientrava nei metodi radiochimici (gli altri erano gli ottici, i cromatografici, gli elettrochimici) è risultata preziosa in mano ai ricercatori dell’Università di Padova e dell’ISMEO di Roma per dirimere una questione storica e culturale insieme circa la provenienza del Leone in bronzo che si erge in cima a una delle due grandi colonne della Piazzetta di Piazza San Marco a Venezia.

Per esso allo stesso tempo valgono tre considerazioni: rappresenta il Leone Alato veneziano, potente simbolo di sovranità, fu installato in un periodo di incertezza politica nell’Europa mediterranea medievale, le sue caratteristiche non riflettono le convenzioni artistiche locali
Molte speculazioni circondano le origini e l’identità culturale del grande ‘Leone’. Le ipotesi sulle sue origini includono una fonderia veneziana del XII secolo d.C. (Pilutti Namer 2013 ) o una località non specificata in Anatolia o nella Siria settentrionale nel periodo ellenistico (323-30 a.C.) (Ward Perkins 2015), con possibili influenze romaniche, gotiche, assire, etrusche, sassanidi e cinesi (Elam1990 ).
BM Scarfì (Scarfì1990 ) considerava il “Leone” un’interpretazione ellenistica dei grifoni mesopotamici o persiani con testa di leone, realizzati nel IV o III secolo a.C. come veicolo di Sandon, divinità della città di Tarso in Turchia, raffigurato sulle monete in groppa a un grosso gatto cornuto.

Oggi la provenienza cinese orgoglio dei veneziani e della discendenza da Marco Polo trova, grazie alla Chimica, una conferma. Partendo da parallelismi stilistici che si trovano nella Cina della dinastia Tang (618-907 d.C.) ed utilizzando l’analisi degli isotopi di piombo, viene dimostrato che la figura è stata fusa con rame isotopicamente compatibile con il minerale proveniente dal bacino del Basso Fiume Azzurro (il fiume Yangtzi)*.
È possibile che il padre e lo zio di Marco Polo, durante i quattro anni trascorsi alla corte di Kublai Khan durante il loro primo viaggio, siano stati responsabili dell’acquisizione della scultura. Al di là dello specifico risultato acquisito in questo caso da chimico non posso non essere orgoglioso del ruolo della nostra disciplina nel tramandare e sostenere le tradizioni culturali così contribuendo anche a difendere le identità storiche e ad educare i giovani al rispetto del proprio passato, come irrinunciabile componente del presente e del futuro, rispettivamente come insegnamento e come progetto.
Da leggere anche le conclusioni del lavoro di Artioli et al.
Contrariamente alle narrazioni tradizionali che ipotizzavano una produzione locale, anatolica o siriana, riteniamo che il muso e la criniera della creatura ibrida in bronzo presentino somiglianze con lo zhènmùshòu della dinastia Tang (anche se, in linea di principio, non si possono escludere confronti con sculture cinesi precedenti e successive). È possibile che il padre e lo zio di Marco Polo, durante i quattro anni trascorsi alla corte di Kublai Khan durante il loro primo viaggio, siano stati responsabili dell’acquisizione della scultura. L’analisi degli isotopi di piombo del bronzo conferma l’origine cinese, identificando probabili fonti di rame nella regione del basso fiume Yangzi. A causa della sconcertante assenza di informazioni scritte, le intenzioni e la logistica alla base del suo viaggio verso Venezia rimangono elusive e aperte all’interpretazione. Se l’installazione del “Leone” aveva lo scopo di inviare un forte messaggio politico difensivo, ora possiamo anche leggerla come un simbolo dell’impressionante interconnessione del mondo medievale.
* Il Fiume Yangtzi non è azzurro nel colore dell’acqua, ma viene definito così dagli occidentali per la sua bellezza, trasparenza e per il colore che assume verso il tramonto, quando sembra confondersi con il cielo. Il nome originale cinese è “Chang Jiang”, che significa “Lungo Fiume”,
Maximized lipase-catalysed production of a monoester of ferulic acid derivatives and ethylene glycol: a key step toward intrinsically antioxidant biosourced polymers
DOI: 10.1039/D5GC02821C, Paper


Original, enzymatic and selective solvent-free approach to produce the monoester ethylene glycol hydroferulate, a monomer precursor toward intrinsically antioxidant polymers.
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The content of this RSS Feed (c) The Royal Society of Chemistry
Green solvents in membrane separation: progress, challenges, and future perspectives for sustainable industrial applications
DOI: 10.1039/D5GC03161C, Critical ReviewBoon Kee Voon, Yen Juin Yap, Wai Fen Yong
Green chemistry and engineering play a vital role in sustainable separation and technology developments.
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Recent advances in biodegradable polymer blends and their biocomposites: a comprehensive review
DOI: 10.1039/D5GC01294E, Critical Review


Integrating biodegradable polymer blends, compatibilization strategies, and filler reinforcement to develop biodegradable composites for sustainable applications.
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Review on sequential catalysis for higher alcohols: overcoming barriers in direct CO2 hydrogenation
DOI: 10.1039/D5GC03160E, Critical ReviewAbdulaziz A. M. Abahussain, Fahd A. Nasr, Ahmed S. Al-Fatesh, Padmanabhan Sambandam, Mohammed Al-zharani, Fekri Abdulraqeb Ahmed Ali, Nadavala Siva Kumar, Sulaiman A. Alsalamah, Ganesan Subbiah, Guganathan Loganathan, Saravanan Palanivelu, Shoba Gunasekaran, Kavitha Chandrasekaran, Tamizhdurai Perumal
Rising CO2 emissions intensify global warming, demanding innovative mitigation. Converting CO2 into higher alcohols offers a renewable path to sustainable fuels and chemicals, addressing greenhouse gases while supporting energy and industrial needs.
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Direct C(sp3)–H chloromethylation through CH2Cl2 activation using non-thermal plasma
DOI: 10.1039/D5GC02405F, PaperFabian Bruel, Gabriel Morand, Stéphanie Ognier, Pierre Dedieu, Alain Favre-Réguillon, Cyril Ollivier, Louis Fensterbank, Michael Tatoulian
Catalyst-free chloromethylation of alkanes is achieved via non-thermal plasma activation of CH2Cl2 under ambient conditions. A 30% yield of chlorinated products from cyclohexane is obtained in 60 s. A radical mechanism has been proposed.
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Exploring 5-hydroxymethylfurfural hydrogenation pathways using NHC-stabilized water-soluble nanoparticles of various metals and alloys
DOI: 10.1039/D5GC01961C, PaperOscar Suárez-Riaño, Jaime Mazarío, Gabriel Mencia, Víctor Varela-Izquierdo, Nicolas Ratel-Ramond, Antonio Martín-Pinillos, Edwin A. Baquero, Luis M. Martínez-Prieto, Simon Tricard, Bruno Chaudret
Colloidal NHC-stabilized nanoparticles unlock selective hydrogenation of 5-HMF to diverse products in water under mild conditions.
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Biodegradable alginate derivatives obtained by eco-friendly ultrasound technology for more sustainable leather tanning
DOI: 10.1039/D4GC06571A, Paper


Ultrasonication-derived alginate optimizes collagen interaction in chrome-free leather retanning, enhancing biodegradability and reducing waste.
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Electrochemical Reduction of Ammonia Captured CO2 to CO over Nickel Single-Atom Catalyst
DOI: 10.1039/D5GC02515J, Paper


Carbon reactive capture and conversion offers a sustainable route to valuable chemicals and fuels while aiding GHG reduction. Direct electrochemical conversion of capture solutions like bicarbonate avoids the energy demands...
The content of this RSS Feed (c) The Royal Society of Chemistry
The discovery of new metagenomic urethanases utilising a novel colorimetric assay for applications in the biodegradation of polyurethanes
DOI: 10.1039/D5GC03560K, Paper


New urethane hydrolytic enzymes have been discovered from a drain metagenome and a novel colorimetric assay established for high-throughput applications.
To cite this article before page numbers are assigned, use the DOI form of citation above.
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Systematic life cycle assessment of cobalt-based blue ceramic pigments: evaluating CoAl2O4 and lower-cobalt alternatives
DOI: 10.1039/D5GC02709H, PaperAndrei Ungureanu, Antonella Sola, Paolo Neri, Roberto Rosa, Anna Maria Ferrari
This study identifies low-cobalt blue pigments as sustainable alternatives to traditional CoAl2O4, combining a good colouring performance with significantly reduced environmental impacts through Life Cycle Assessment (LCA).
To cite this article before page numbers are assigned, use the DOI form of citation above.
The content of this RSS Feed (c) The Royal Society of Chemistry
Assessment of the environmental and human health impact in the synthesis and processing of metal halide perovskite active layers using GVL
DOI: 10.1039/D5GC03582A, Paper


Metal halide perovskites (MHPs) offer a potential alternative to crystalline silicon solar cells in terms of efficiency. Despite the impressive reported efficiencies exceeding 26%, the widespread uptake of perovskite solar...
The content of this RSS Feed (c) The Royal Society of Chemistry
Adding value to terpenoids: From pseudoionone to 1-methyl-1,3-cyclohexadiene
DOI: 10.1039/D5GC03364K, Paper


Alkenes and conjugated dienes play an important role in organic synthesis and polymer chemistry. Being essentially fossil-based materials, there is a strong interest in developing alternative ways to obtain such...
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The Solvent Miscibility Table Updated: Miscibility and Potential Applications of Green Solvents
DOI: 10.1039/D5GC02901E, Communication


Green solvents play a central role in the design of more sustainable chemical processes. Among properties influencing solvent selection, miscibility is important, especially during the work-up and analysis steps. However,...
The content of this RSS Feed (c) The Royal Society of Chemistry
Heterogeneous Fe single-atom catalysis for C2–H amidation of pyridine/quinoline N-oxides: streamlined synthesis of pharmaceutical scaffolds
DOI: 10.1039/D5GC03797B, PaperJinhua Ou, Song Yu, Duoduo Liu, Han Jiang, Can Lyu, Keyi Chen, Jie Li, Zhuobin Yu, Kaijian Liu, Jinxuan Liu
This first heterogeneous catalytic system enables base/additive-free C2–H amidation of N-oxides with 100% atom economy for pharmaceutical synthesis.
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Dipole modulation engineering for the recycling of spent lithium iron phosphate
DOI: 10.1039/D5GC03045E, PaperLin Liu, Wenzhi Huang, Haoshen Liang, Zexin Su, Kaixiang Shi, Jie Ren, Lichao Tan, Yonggang Min, Quanbing Liu
The dual eutectic salts (LiI-LiOH) construct an ionic polarization synergistic field, accelerating the self-lithiation process of spent lithium iron phosphate (S-LFP).
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Co-upcycling of polyvinyl chloride/cotton mixed waste into 5-isopropoxymethylfurfural
DOI: 10.1039/D5GC03404C, PaperDawang Chu, Jiali Weng, Xu Liu, Hongkun Wang, Yanran Cui, Lei Nie, Zhenglong Li
The co-recycle of waste plastics, biomass waste and waste textiles represent a sustainable strategy for the efficient utilization of waste resources. This study develops a co-depolymerization process for polyvinyl chloride...
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